LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA - 4° Giorno dall’Eremo di Cerbaiolo alla Verna - La via di Francesco in Toscana

LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 4° Giorno dall’Eremo di Cerbaiolo alla Verna

LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 3° Giorno da Montagna all’Eremo di Cerbaiolo
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La Via di Francesco In Toscana Anghiari – Arezzo “La Via della Croce”
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Articolo di Stefano Masetti

Io e Luca ci alziamo di buon mattino e andiamo a far visita alla cappella di Sant’Antonio da Padova che visse qui per un certo periodo nel 1230. Il curioso edificio è stato costruito nel luogo dove sorgeva la capanna del santo. E’ una chiesetta strana, eretta sulla sommità di una torre che ha il fianco occidentale poggiato sulla nuda roccia. Dentro la cappella, ai piedi dell’altare, c’è il letto di Sant’Antonio ovvero una pietra scavata nel pavimento. Una leggenda racconta che il santo avrebbe lasciato l’impronta del proprio corpo su uno dei tanti massi che si trovano nei pressi della cappella dopo essere svenuto a causa delle tante privazioni e delle mortificazioni alle quali era solito sottoporsi.   Da sopra la cappella parte un  sentiero che scende a Pieve Santo Stefano; è una larga strada sterrata di 5 km che attraversa una bella e panoramica campagna. Se fatta tutta in discesa, dopo alcuni giorni di cammino, sembra una piacevole passeggiata rigenerante. Ben più impegnativo sarà il lungo tratto di sentiero che ci attende per raggiungere il santuario della Verna; quasi mille metri di dislivello in salita. Per il momento io e Luca preferiamo concentrarci sulla luce del mattino  e sulla strada bianca che splende sotto un sole ancora giovane. Fra una conversazione e l’altra ci ritroviamo ad aggirarci per Pieve Santo Stefano la città del diario. Dopo aver superato un ponte che si affaccia su un desolato Tevere ancora in secca,  imbocchiamo la viuzza delle antiche prigioni che conduce alla piazza delle Logge del Grano. Non abbiamo il tempo di visitare il paese che fu distrutto completamente dai tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale. Rimasero in piedi soltanto la Chiesa della Collegiata e La Madonna dei  Lumi. Per giorni, anche dopo la partenza degli invasori, continuarono a saltare in aria importanti edifici che erano stati minati con cariche a orologeria che provocarono diverse vittime. Una distruzione totale paragonabile soltanto a quella di Cassino. Cerbaiolo e Pieve Santo Stefano accomunati da un atto di assurda barbarie. Per distrarmi da questi cupi pensieri, mentre iniziamo a salire percorrendo una lunga strada alberata, rievoco mentalmente la storia di San Francesco e della Verna che in diverse occasioni mi è capitato di raccontare durante le mie escursioni guidate sul Monte degli Angeli. Come ha fatto Francesco ad arrivarci? Mi è stato chiesto spesso. Dai documenti che abbiamo a nostra disposizione sembra che tutto abbia avuto inizio l’8 maggio 1213 quando in occasione di San Michele si celebrava a San Leo in Romagna (in quello che allora si chiamava Montefeltro) l’investitura di un giovane che prendeva per la prima volta le armi ovvero un “cavaliere novello”. Durante queste investiture, il nuovo cavaliere riceveva un solenne colpo col taglio della mano o col pugno sulla spalla da parte di un cavaliere più anziano. Una cerimonia laica all’inizio ma che poi la Chiesa verso la fine del duecento avrebbe trasformato in un rito sacro officiato da un vescovo. Non sappiamo se in quell’occasione San Francesco fu invitato alla festa essendosi la sua fama spinta ben oltre i confini di Assisi o se invece come ci dicono I fioretti fu una sua personale  iniziativa perché passava da quelle parti in compagnia di Frate Leone per coglierne qualche “frutto spirituale”. In effetti può darsi che a Francesco quelle feste gli piacessero perché  la sua massima aspirazione da bambino e nella prima gioventù era stata proprio quella di diventare cavaliere. In quell’occasione poi diventava cavaliere uno della famiglia dei conti di Montefeltro quindi un casato fra i più illustri di tutta l’Italia centrale. Ma fra gli invitati a quella festa c’era anche un nobile signore del Casentino ovvero il conte Orlando Catani da Chiusi che aveva sentito parlare di Francesco e dei suoi miracoli e che desiderava tanto conoscerlo.  Ma ecco come ci presentano la storia i fioretti: “Giugne santo Francesco a questo castello ed entra e vassene in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: “Tanto è quel bene ch’io aspetto,che ogni pena m’è diletto. E sopra questo tema, per direttamente dello Spirito Santo,predicò sì devotamente e sì profondamente,provandolo per diverse pene e martìri de’santi Apostoli (…) che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa inverso di lui,come se parlasse uno Agnolo di Dio”. Quindi partendo da una frase tratta da un romanzo cortese dove un cavaliere si riferisce all’amore che prova per la sua donzella: “Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto” Francesco la traspone  rivolgendola invece a Dio mettendola in bocca ai Cavalieri di Cristo cioè i Martiri e i santi Apostoli. La sua interpretazione teatrale deve essere stata talmente coinvolgente che alla fine il conte Orlando da Chiusi concesse verbalmente a Francesco il Monte della Verna che lui possedeva insieme a tante altre proprietà. Il giullare ancora una volta aveva fatto breccia nel cuore degli uomini, divertendoli e commuovendoli. C’è comunque da considerare che era negli usi cortesi di quel tempo la possibilità di offrire un ricco dono a qualcuno anche per farsi ammirare dagli amici presenti alla festa e Francesco pur abbracciando il fermo proposito di non possedere nulla comprende e accetta anche per non offendere il donatore in pubblico che sempre secondo l’uso andava onorato e non umiliato.La coincidenza comunque è impressionante: Francesco ha predicato di pena e di diletto durante una festa cavalleresca e lì un cavaliere che porta il nome del grande paladino gli offre quel monte sul quale quasi dieci anni dopo egli forse proverà la pena più grande e il più grande diletto ovvero le stimmate. Quando Francesco ormai alla fine della sua vita, gravemente malato ci metterà piede chiamerà La Verna il Monte degli Angeli perché vi sentirà ben vivo e presente il fremito d’ali dei Messaggeri di Dio e da quel momento questa montagna diventa un simbolo, come lo sono tante altre montagne sacre sparse per il mondo.

  Dopo 3 km giungiamo in località Grigliano, quota 635m., piccolo borgo con una scuola di equitazione. Ogni tanto intravediamo dall’ alto il paese di Pieve Santo Stefano che ci siamo lasciati alle spalle.  La strada si fa sempre più ripida e faticosa. “Meglio la salita che la discesa” dice Luca con voce affannata per consolarmi. In effetti, per esperienza personale, chi ama veramente camminare in montagna preferisce la dura salita all’insidiosa discesa, forse perché solo dopo la fatica dell’estenuante ascesa si prova quella sublime sensazione che ebbe a descrivere così bene Dante Alighieri nella Divina Commedia:

“ A seder ci ponemmo ivi ambedui

volti a levante ond’eravam saliti,

che suole a riguardar giovare altrui”.

Salendo di quota troviamo i primi boschi di faggio. Continuiamo a inerpicarci fino a toccare i 1135m. nei pressi del Monte della Modina dove ci fermiamo a mangiare sotto una leggera pioggerella.  In pratica abbiamo percorso due terzi della tappa e La Verna adesso appare molto vicina.  Luca si ferma per fare una breve registrazione del vento che fa stormire le foglie.  Io ne approfitto per tirare un po’ il fiato. Chiudo gli occhi e  immagino di vedere già davanti a me la chiesina di Santa Maria degli Angeli che fu l’unico edificio in pietra che Francesco ammise sul Monte della Verna. Di piccole dimensioni perché doveva essere simile a quello della Porziuncola di Assisi . A costruire anche la modesta cappella ci pensò sempre il conte Orlando. Lo attesta, fra l’altro, lo stemma nobiliare della famiglia Catani,che campeggia sulla facciata,a lato della porta di ingresso. Chi poi giunge di fronte all’altare,nota subito una lapide,collocata nel pavimento, che ricorda che proprio lì è sepolto il grande benefattore. Nel 1250 la chiesina fu allungata per fare posto ai fedeli che accorrevano sempre più numerosi. Dieci  anni dopo su incarico di Papa Alessandro IV, i vescovi di Arezzo, Firenze, Fiesole,Assisi, Città di Castello e Urbino, salirono alla Verna per consacrare la chiesa. C’era anche Bonaventura da Bagnoregio. Si racconta che gli otto prelati vollero compiere in devota processione, anche se a cavallo, il giro attorno alla montagna, quasi a riconoscere la bellezza e la santità del luogo. Erano accompagnati dai francescani e dal popolo festante.Questo giro, che sarebbe avvenuto nel 1260,corrisponde a quello che oggi viene chiamato anello basso o anello della Beccia caratterizzato da spaccature,che incidono profondamente le grandi pietre. Come abbiamo già detto, anche queste, come quelle di Cerbaiolo ricordavano a Francesco le piaghe sul corpo di Cristo, e lo sconquasso della natura seguito alla sua morte. Sempre I Fioretti narrano che, raccolto in meditazione sotto il Sasso spicco,

“meravigliandosi delle grandissime fessure e aperture di sassi grandissimi, si puose in orazione,e allora gli fu rivelato da Dio che quelle fessure così meravigliose erano state fatte miracolosamente, nell’ora della Passione di Cristo, quando,secondo che dice il Vangelista”.

In realtà questi pietroni di calcare che un tempo si trovavano sul fondo del mare sono crollati molto tempo prima della venuta di Cristo perché la base su cui poggiano i macigni è formata da argille la cui consistenza varia a seconda del maggiore o minore contenuto d’acqua.  Ma la leggenda è comunque molto suggestiva.Lo scrittore americano Julien Green che ha scritto una bella biografia su San Francesco e che ha amato molto La Verna dove ha vissuto per un certo periodo di tempo ha scritto: “Vicino alla vetta della Verna,rocce enormi parevano precipitate in una spaccatura in fondo alla quale s’intravedeva un abisso che toglieva il fiato. Eppure, proprio in un recesso di quell’apertura si nascondeva Francesco. Quelle rocce frantumate in cataclismi immemorabili raffiguravano ai suoi occhi le ferite di Cristo. Gli era necessaria la vertigine per perdersi in Dio? Quest’uomo già fra due mondi portava in sé i suoi abissi”.  Molto suggestiva è anche la descrizione che ne fa il poeta Dino Campana nel suo diario di viaggio alla Verna: le enormi rocce gettate in cataste da una legge violenta verso il cielo, pacificate dalla natura prima che le aveva coperte di verdi selve, purificate poi da uno spirito d’amore infinito”. 

Aggirato il Monte della Modina dopo una lunga discesa , giungiamo al Passo delle Pratelle 1079m.  da dove si diramano diversi sentieri.  Si continua dritti dall’altra parte del Passo in salita nel bosco e più in alto si costeggia una bella radura erbosa che offre una bellissima veduta della Val Tiberina.  Finalmente arriviamo a toccare il punto più alto della tappa ovvero il Monte Calvano 1253m.  un grande pascolo al centro del quale si trova un rigoglioso albero di biancospino. Sopra di noi stride e volteggia una maestosa poiana. Il giorno prima, quando eravamo al rifugio della Spinella, ne abbiamo viste quattro contemporaneamente. Volavano in cerchio sopra le nostre teste e Luca è rimasto a lungo a registrarne i loro acuti richiami.  Questo grande rapace mi fa tornare alla mente la leggenda del falco rappresentato in uno dei tanti affreschi che si possono ammirare percorrendo il corridoio delle Stimmate della Verna.   Sappiamo che Francesco salì sulla Montagna degli Angeli il 15 agosto del 1224 giorno dell’ Assunzione, accompagnato dal solito frate Leone. Mentre arrivava lo accolse uno stormo di uccelli che lo avvolse cantando; questo accadde vicino ad una grande quercia, probabilmente un cerro, al posto del quale oggi sorge la cappella degli uccelli. Si racconta anche di  un falco(che nel dipinto è raffigurato ai piedi del santo).  Ogni notte questo animale che proprio lì aveva il suo nido e che si era legato a San Francesco con un patto di intensa amicizia lo svegliava quando si avvicinava il momento in cui lui era solito pregare. A volte,però, le malattie non concedevano tregua al poverello di Assisi: in quei casi il falco rinviava di qualche tempo le sue strida,in modo da consentirgli di riposare un po’ di più. Sempre alla Verna Francesco fece un rito che aveva fatto in altre occasioni chiamato “sortes Apostolorum” . Cioè interpellò Dio aprendo per tre volte il Vangelo. Questa volta voleva sapere come portare a compimento la sua vita nel migliore dei modi visto che era pieno di dubbi e si sentiva molto sconfortato. Alle tre aperture rituali del libro sacro,per tre volte gli occhi ammalati di Francesco si posarono sul racconto della Passione.Comprese allora che la sua volontà di imitare in tutto e per tutto il Cristo sarebbe stata esaudita. Quello sarebbe stato il suo Gethsemani e la roccia della Verna il suo Calvario. Sembra che proprio in questo luogo, Francesco ,come Gesù, abbia provato le tentazioni,l’apparente lontananza da Dio, la sensazione di essere stato abbandonato da lui,la percezione del proprio fallimento,il richiamo del nulla. Con ancora questi pensieri in testa ecco che io e Luca scorgiamo davanti a noi “il calcio del diavolo” ovvero la cresta rocciosa e boscosa del Monte Penna che incombe con i suoi pinnacoli alti più di 150 metri.  La località è chiamata Croce della Calla (1136m) ed infatti è segnata da una grande croce di legno. Siamo a circa un chilometro dal complesso monastico. Quando finalmente giungiamo nell’ampio piazzale del santuario detto il “ Quadrante” lo troviamo molto affollato come al solito. Pur essendo molto stanchi, Luca decide di completare il suo reportage fotografico percorrendo il sentiero della Beccia che conduce alle ciclopiche pareti verticali del monte. In alto vi si affaccia il fianco più sacro del convento francescano. Questo spettacolare insieme di faraglioni che incombono su un grande prato è chiamato la Scogliera delle Stimmate. A tal proposito, Tommaso da Celano ci ha descritto l’episodio delle Stimmate quattro anni dopo la data in cui  sembra essersi verificato proprio alla Verna il 14 settembre del 1224.Non sappiamo quale ora del giorno o della notte fosse,non sappiamo nemmeno se Francesco dormisse o vegliasse in preghiera, ma così viene presentato l’avvenimento:

“Gli apparve un Uomo in forma di serafino,con sei ali, librato sopra di lui,con le ali distese e i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo,due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell’ Altissimo si sentì ripieno di un’ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato(…) Francesco cercava con ardore di scoprire il senso della visione,e per questo il suo spirito era turbato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza,ecco:nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso Uomo crocifisso.Le sue mani e i suoi piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi,mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell’esterna, e formavano quasi un’escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Anche il lato destro del fianco era trafitto come da un colpo di lancia,con ampia cicatrice,e spesso sanguinava…”.

Noi sappiamo con certezza che quando Francesco se ne tornò dalla Verna  aveva delle piaghe o delle ferite che sanguinavano. Per lo storico Franco Cardini quello delle stimmate è il fatto più misterioso dell’intera vita di Francesco e proprio intorno a questo episodio si è sviluppata in tempi recenti tra gli studiosi un’accesa discussione.Chiara Frugoni che pure ha scritto una bellissima biografia su Francesco, rispetto a Franco Cardini appare molto più scettica. Lei dice che prima di S.Francesco non esiste nessun santo stimmatizzato. Molte persone che si erano auto inflitte delle ferite per imitare quelle subite da Cristo sulla croce erano state severamente punite anche con la morte perché nessuno doveva avere l’ardire di paragonarsi al figlio di Dio.Ma quando si diffuse la notizia delle Stimmate insorsero anche gli altri ordini religiosi e perfino i preti che all’inizio non le accettarono. L’opposizione alle stimmate veniva da più parti: i sacerdoti appunto avevano paura di vedere diminuire i fedeli che alla lunga avrebbero preferito confessarsi, andare a messa ed essere sepolti nelle chiese francescane. I domenicani in particolare erano molto invidiosi tanto che ingaggeranno con i francescani una dura lotta nella quale sostenevano che le vere stimmate erano quelle “invisibilidella loro santa: Caterina da Siena. Ma contrari erano perfino alcuni francescani ancora titubanti. Anche i pittori non le disegnavano sui loro dipinti e se qualcuno osava farlo venivano subito cancellate da ignoti(solo più tardi Giotto le dipinse nel famoso affresco che si trova nella cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce a Firenze).  La diffidenza dunque circa le cinque piaghe fu lunga e tenace: più che un miracolo,molti ritenevano che fosse una bestemmia contro Cristo. In effetti, va detto, che non ci sono stati testimoni. Nessuno ha potuto dire di aver assistito a questo episodio. Lo stesso Francesco non disse mai di avere le stimmate né pronunciò mai questa parola. Anzi scoraggiò coloro che aveva intorno a fare illazioni in questo senso. “Fatti gli affari tuoi!” disse un giorno ad uno dei compagni che lo importunava con domande indiscrete. Chiara Frugoni ipotizza che queste presunte stimmate siano in realtà il prodotto di un’audace invenzione. Sappiamo che fenomeni del genere possono prodursi a livello psicosomatico in particolari individui e in particolari condizioni di stress mentale. Durante quei mesi di intensa contemplazione Francesco aveva talmente e così intensamente voluto assomigliare a Cristo che si erano prodotte sul suo corpo delle ferite simili? Oppure a forza di curare i lebbrosi Francesco era stato contagiato dalla loro malattia che dopo un lungo periodo di incubazione si era manifestata alla Verna?Le capecchie dei chiodi di carne descritti da Tommaso potevano essere in realtà escrescenze lebbrose? Non lo sapremo mai e resta in definitiva un argomento di fede come tanti altri. Qualcuno però ha fatto maliziosamente notare che le stimmate potevano far comodo ai frati Minori che avevano fretta di far riconoscere alla Chiesa la santità del loro fondatore. E poi, essendo Francesco un santo e non un “uomo” ne derivava che tutti gli altri frati potevano sentirsi come esonerati dal seguire il suo duro esempio fatto di sacrifici e di privazioni. Al di là di tutte queste considerazioni prosaiche, vale la pena però citare i versi poetici di Dante Alighieri nell’ XI° canto del Paradiso: “nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo”.  Francesco morirà ad Assisi il 3 ottobre 1226. Ma prima di morire vuole comporre una Lode del Signore (ne aveva già scritte altre) dedicata alle sue creature.Postosi a sedere si concentrò a riflettere e poi disse: “Altissimo,onnipotente,bon Signore…”  è l’inizio dello splendido Cantico delle creature, composizione giustamente famosa,non solo perché attraverso di essa  viene fuori tutto l’animo poetico di Francesco ma anche perché è una delle prime poesie scritte non più in latino ma nella nostra lingua. Sembra che Francesco compose oltre alle parole anche una musica d’accompagnamento. Secondo il suo intento i frati avrebbero dovuto andarsene in giro a cantarla come “giullari di Dio” dal momento che lui non poteva più farlo. Francesco riteneva  che la Natura fosse bella e benefica,un dono generosamente concesso da Dio all’uomo. L’inno loda i quattro elementi: Fuoco, Aria, Acqua, Terra, i componenti essenziali di ogni forma di vita,compresa quella umana,secondo le credenze medievali. Risulta particolarmente struggente perché ad esempio loda il fuoco e la luce del sole proprio nel momento in cui è quasi cieco, loda la morte (gli ultimi versi li aggiungerà in un secondo momento)  nell’ora in cui si sente prossimo alla fine. E’ un canto quindi pieno di vita ma scritto nel momento più doloroso e anche per questo acquista ancora più valore. Prima di andarcene dalla Verna  non possiamo fare a meno di rendere omaggio al Sasso Spicco (quello più famoso rispetto a quello di Montecasale). Si tratta di un enorme macigno staccato dalla montagna e sospeso nel vuoto. L’ho visto tantissime volte eppure mi sorprende sempre il gioco d’incastro dei massi, sui quali si elevano faggi secolari, che con le radici abbracciano tutto il pietrame, mentre vanno a cercare pazientemente un po’ di humus nel suolo scaglioso. Ci sono in Italia numerosi e splendidi edifici religiosi ricchi di arte e di storia che merita sicuramente visitare. Ma chi vuole conoscere veramente lo spirito del Santo di Assisi deve venire qui, a toccare con mano l’essenzialità del crudo sasso.

DALL’ EREMO DI CERBAIOLO AL SANTUARIO DELLA VERNA

Lunghezza: 21,00 km

Salita: 900m

Discesa:600m

Tempo di percorrenza: 6h 30min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (25%), sentiero (50%), asfalto (25%)

Difficoltà: Difficile