LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA - 3° Giorno da Montagna all’Eremo di Cerbaiolo - La via di Francesco in Toscana

LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 3° Giorno da Montagna all’Eremo di Cerbaiolo

LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 2° Giorno da Sansepolcro a Montagna
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LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 4° Giorno dall’Eremo di Cerbaiolo alla Verna
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Articolo di Stefano Masetti

Lasciamo Ofelia e la sua simpatica famiglia con un po’ di rammarico. La terza giornata di cammino si preannuncia come la più panoramica in assoluto. Si comincia a salire fino a una località chiamata Il Palazzo (745m) dove sorge un’altra struttura d’accoglienza per pellegrini molto bella e immersa nel verde. Più avanti scopriamo un maestoso cerro che la gente del posto ha ribattezzato “Quercia di Val Canale”. A quanto si può leggere in un pannello che è stato piantato a  poca distanza dall’albero, si tratta di una pianta secolare di 200/250 anni, alta circa 25 metri e con una circonferenza del tronco di 380 cm. I gestori dei vari B&B della frazione di Montagna che hanno realizzato il cartello, invitano giustamente tutti gli escursionisti a rispettare questo stupendo esemplare insieme a tutto ciò che lo circonda.  La via diviene sempre più sconnessa, il terreno è argilloso e per qualche tratto si cammina su lastre di arenaria molto friabili.  Si sale ancora fino ad arrivare a un bel crinale soleggiato dove pascolano diversi asini allevati allo stato brado. Sono molto mansueti e qualcuno si avvicina nella speranza di ricevere da noi qualcosa da mangiare. In lontananza, sotto a un grande acero campestre pascola l’intero branco. La cosa incredibile è che gli asini convivono  pacificamente con un ancor più numeroso branco di daini, intenti anche loro a pascolare a poche decine di metri di distanza come se i due gruppi di animali si fossero messi d’accordo per condividere lo stesso appezzamento di terreno, diviso però da una invisibile linea di confine che soltanto loro riescono a vedere. Il luogo dove ci troviamo è conosciuto come La Spinella e prende il nome da un enorme casolare che io e Luca raggiungiamo in una manciata di minuti. L’edificio si trova in una posizione davvero incantevole. Veniamo a sapere da una persona che vi sta lavorando che la struttura ha ospitato per mesi una colonia estiva di 40 ragazzi. Il rifugio è gestito dalla fattoria di Germagnano un’azienda biologica composta da diversi giovani agricoltori che gestisce anche il rifugio di Pian della Capanna che troveremo più avanti. Questi ragazzi che con il loro lavoro e la loro passione hanno riqualificato questa parte di Appennino sono fra i pochi che allevano gli asini per il loro latte (che è un valido sostituto del latte materno e con il quale producono anche saponette e cosmetici) e un formaggio particolare altamente digeribile fatto sia con latte di capra che di asina.   Proseguendo lungo una bella pista forestale dove spiccano imponenti faggi entriamo nella Riserva Naturale dell’ Alpe della Luna e del Monte dei Frati. Il paesaggio è molto panoramico e vario perché  camminando si alternano ampie praterie, freschi boschi e costoni brecciosi, sempre però con vista sul lago artificiale di Montedoglio che rimane alla nostra sinistra.   Più avanti ci ritroviamo al Rifugio Forestale Pian della Capanna (1005m.) tutto ristrutturato e gestito, come detto, sempre dai ragazzi di Germagnano.  Stranamente il rifugio non è menzionato nella guida ufficiale del Cammino di Francesco pubblicata da Terre di Mezzo (anche nell’ultima versione aggiornata) ed è un vero peccato anche perché l’edificio  è piuttosto grande ed è collocato in un punto particolarmente strategico del percorso, dove è possibile pernottare e rifocillarsi.

Si rientra nel bosco e più avanti si esce dalla Riserva Naturale Alpe della Luna. Poco prima del bivio per il Monte dei Frati (che se volessimo potremmo raggiungere in una mezz’ora circa), il panorama si apre sull’ampia vallata verso Sansepolcro. Ad un tratto il tracciato si impenna in modo deciso sulla direttrice del sentiero 00 che porta al Passo di via Maggio per arrivare al quale occorre prima salire sulla sommità del Monte Verde . Il ripido crinale boscoso è tutto costeggiato da una recinzione di filo spinato che rimane sulla destra e la salita è molto faticosa. Dobbiamo superare anche diverse recinzioni dotate delle apposite scalette di legno data la presenza di numerosi pascoli nelle vicinanze. Durante il percorso si notano dei cartelli che invitano a visitare il Parco Storico della Linea Gotica di Badia Tedalda. Il sito conserva i resti di alcune postazioni di tiro e trincee dell’esercito tedesco.  Scopriremo strada facendo che ce ne sono molte anche scendendo verso l’Eremo di Cerbaiolo. Finalmente, dopo un lungo e tortuoso percorso nel bosco ci ritroviamo al bar L’Alpe che si trova sul Passo di Via Maggio. Da qui ci sono due possibilità per arrivare all’Eremo di Cerbaiolo che si trova sul versante che guarda Pieve Santo Stefano. Una più lineare e più breve su comoda strada forestale e una un po’ più lunga e tortuosa che corrisponde al tracciato della VFT che passa sotto Montalto. Noi consigliamo caldamente di non abbreviare il percorso e di optare per la seconda. Pertanto dopo aver camminato per un brevissimo tratto sulla strada asfaltata giriamo a sinistra sulla strada sterrata che prende il nome proprio di via Cerbaiolo e dopo 400 metri l’abbandoniamo per seguirne una a destra dove c’è un cancello.  La via inizia a scendere e per un lungo tratto si alternano boschi a estese praterie. Ad un tratto ci imbattiamo in una mandria di mucche dal manto color ruggine. Luca prende la sua “scatola delle meraviglie” e scatta un’incredibile foto che sembra un quadro agreste di Giovanni Segantini. In modo particolare ricorda il quadro “Alla stanga” dove si vede in primo piano una lunga fila di vacche. Fra un pascolo e l’altro, la segnaletica non è molto chiara. Ad un certo punto ci accorgiamo che stiamo percorrendo un tracciato che non risulta nemmeno sulle carte. Tuttavia quando non ci sono i segni di conforto bianco-rossi del CAI ci vengono in aiuto i segni contraddistinti dal Tau giallo che qualcuno ha tracciato sui tronchi degli alberi o quelli fatti direttamente sulle pietre di colore giallo-blu. E’ proprio seguendo queste indicazioni e non una via ampia a sinistra che io e Luca ci ritroviamo a sorpresa sopra un grande masso che sovrasta l’eremo di Cerbaiolo e sul quale è stata piantata una croce di legno. Da lì si può godere di una vista mozzafiato sulla diga di Montedoglio e su tutta la Val Tiberina.  Luca non perde tempo, piazza sul cavalletto la sua macchina fotografica stenopeica e mi chiede di fare da modello. Io ubbidisco e mi metto sotto la croce con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Ne uscirà fuori un’immagine un po’ astratta dove si vedono i tronchi scheletrici di tre querce in primo piano che risultano essere perfettamente simmetriche con la croce sullo sfondo e con la mia piccola figura scura in basso. Un vero capolavoro impressionista.   Nel frattempo, mentre me ne sto in posa, sperimento quella che il filosofo francese Frederic Gross ha chiamato  l’ebrezza della vetta ovvero quell’ineffabile sensazione che provano tutti coloro che dopo  aver raggiunto con grande sforzo una cima rocciosa, si siedono  e si godono finalmente il paesaggio. In quel momento, tutto quello che riescono ad abbracciare con lo sguardo è come se gli appartenesse.  Ne sono diventati padroni grazie al sudore e alla fatica dell’incedere. Ma non si tratta di un vano possesso, di una proprietà. No,  tutti coloro che provano quella sensazione (e non occorre essere degli alpinisti) sentono di far parte integrante di quello spettacolo del mondo che si apre davanti a loro ed è proprio questo che li fa sentire più vicini a Dio.  Con questa gioia nel cuore, stanchi ma soddisfatti,  ci presentiamo all’ingresso dell’eremo di Cerbaiolo dove padre Claudio Ciccillo ci sta aspettando. Un antico detto recita: “Chi ha visto La Verna e non Cerbaiolo, ha visto la mamma e non il figliolo”. Padre Claudio invece rivendica con orgoglio la maternità di Cerbaiolo rispetto al santuario della Verna . In effetti, ci troviamo nell’insediamento monastico più antico di tutta l’Alta Valle del Tevere. Sembra che risalga addirittura all’ VIII° sec. d.C. Qui le imponenti rocce strapiombanti percorse da fenditure che a un primo sguardo superficiale sembrano voler schiacciare l’edificio religioso, se da una parte possono ricordare  quelle  della Verna hanno tuttavia una loro propria identità. Osservandole meglio, non hanno niente di minaccioso ma esprimono la volontà di proteggere l’eremo, le persone che vi abitano e tutto quello che c’è intorno. Sì, ha ragione padre Claudio, hanno qualcosa di materno e si capisce perché siano state tanto care a San Francesco. Nel 1216, quando l’eremo era già caduto in rovina, il santo accolse con favore la preghiera che gli rivolse la popolazione di Pieve Santo Stefano  che lo esortò a farlo risorgere a nuova vita. I francescani non persero tempo e vi si stabilirono due anni più tardi consolidandolo ed ampliandolo. Anche Sant’ Antonio da Padova vi soggiornò prima della sua morte. Nell’agosto 1867 il poeta Giosuè Carducci passò un lungo periodo di villeggiatura a Pieve Santo Stefano. Fra una cavalcata e l’altra dalla Verna al Fumaiolo scrisse un’ode intitolata poi “Agli amici della Val Tiberina” in cui paragonava Cerbaiolo a un gigante che si affretta alla caccia e interroga il mattino. Forse proprio per paura che questo gigante potesse rivoltarsi contro di loro, durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi in ritirata minarono e fecero saltare la chiesa, parte  del convento e delle case coloniche adiacenti. Ma l’eremo sopravvisse grazie alla figura di suor Chiara che ne scoprì le rovine negli anni sessanta e grazie anche all’aiuto degli abitanti di Pieve Santo Stefano riuscì a ricostruirlo nel giro di una decina d’anni. La sera, a cena, ce ne parla Carla della Fraternità di San Damiano che dal 25 giugno 2019 abita a Cerbaiolo con Padre Claudio. Carla è una bella signora di 85 anni che dimostra molti meno anni di quelli che dichiara. Ha uno sguardo luminoso e la risata di una ragazzina. La sua esuberanza contrasta con la timidezza di padre Claudio che appare molto più riservato. Entrambi hanno conosciuto suor Chiara che giunse qui con altre due sorelle provenienti dalla Sardegna le quali si portarono dietro un intero gregge di capre. Con gli anni suor Chiara rimase da sola con i suoi animali (tanto che oggi viene chiamata “l’eremita pastora”) e una numerosa colonia di gatti. Carla ci racconta che non amava ricevere ospiti e che in diverse occasioni, durante l’inverno,  rimase prigioniera della neve. Visse a Cerbaiolo con spirito francescano per oltre 40 anni ma dopo la sua morte, avvenuta nel 2010 l’edificio cadde nuovamente in uno stato  d’abbandono. Per fortuna, grazie a padre Claudio, a Carla e all’aiuto di tanti volontari pievani e romagnoli oggi l’ Eremo di Cerbaiolo sembra finalmente tornato agli antichi splendori con il piccolo chiostro elegante e curato. La chiesa ampia e luminosa e il convento composto da 17 celle, la sala capitolare e il refettorio. Sul retro vi si trova un ampio cortile abbracciato a un enorme roccione che a guardarlo in foto sembra raffigurare un volto umano. Ancora oggi, la giornata di chi  abita  a Cerbaiolo è scandita dal suono energico della campana, suonata dallo stesso padre Claudio che a orari precisi invita i pellegrini alla preghiera o a presentarsi in refettorio per i pasti.

DA MONTAGNA ALL’ EREMO DI CERBAIOLO

Lunghezza: 17,00 km

Salita: 600m

Discesa:450m

Tempo di percorrenza: 5h 30min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (25%), sentiero (75%).

Difficoltà: Medio-difficile